Di Davide Licari – Ci sono incontri che avvengono casualmente e che possono rivelarsi piacevoli e sorprendenti, conoscenze improvvise che accendono la fiamma della curiosità. E’ quanto mi è accaduto qualche tempo fa in un bar del centro di Marsala quando mi è capitato di scambiare due chiacchiere con una persona piuttosto singolare. Ma forse sarebbe il caso di partire dall’inizio. Pochi giorni prima del fatidico incontro un mio carissimo amico mi aveva contattato per propormi un’intervista “particolare” a un giovane chef “underground”, come questo mio amico l’aveva affettuosamente definito, figlio di questa terra che aveva girovagato per l’Europa formando le proprie abilità e la propria attitudine a un mestiere che negli ultimi anni tutti noi abbiamo imparato ad ammirare osservando in televisione le gesta dei più famosi chef. Naturalmente la mia risposta non poteva che essere affermativa, e così mi ritrovai quel mercoledì mattina seduto a un tavolino in compagnia di Francesco Bianco. Quando mi apparve per la prima volta sono rimasto stupefatto, non era proprio ciò che mi aspettavo! Probabilmente nella mia mente aveva preso forma l’immagine stereotipata di un omone in tenuta bianca con tanto di toque blance. Davanti a me prese forma un giovane uomo snello e dallo sguardo deciso, autorevole, di chi ha mangiato tanto pane duro nella propria vita. Dopo una vigorosa stretta di mano abbiamo iniziato a parlare, e posso ammettere di avere avuto delle difficoltà nel cominciare la conversazione da un punto preciso del tempo e dello spazio: Francesco infatti si era lasciato trasportare da un flusso di pensieri e parole, come un torrente in piena.
Passione è la parola cardine di questo universo che chiamiamo cucina: “Se non hai passione non puoi fare questo lavoro, non puoi stare sedici ore dentro una cucina”, dice ripetutamente e, guardandomi dritto negli occhi, aggiunge: “Quando c’è un servizio avviene una trasformazione e può generarsi della tensione, ma alla fine occorre dare il cento per cento per soddisfare il commensale”. Una visione del mestiere “underground”, che mette al centro l’umiltà, “Anche se gli chef se la tirano un po’…” chiosa infine. Francesco rivela di non sentirsi solo uno chef, ma di apprezzare anche il lato di sé che potremmo definire “del cuoco”, un termine che rivendica con orgoglio. E qui il fiume si articola in una serie di affluenti che lo chef naviga senza timore andando contro corrente, partendo quasi dalla fine. Francesco non ha ancora toccato i trent’anni e sin da subito si è cimentato nel mondo culinario senza il timore di abbandonare la propria terra natia: Milano, la Francia, la Danimarca, l’Olanda, sono solo alcune delle destinazioni che ha raggiunto, tappe intermedia nel proprio percorso che lo hanno aiutato a crescere. “Rispetto all’Italia la Francia ha un tipo di cucina che rispecchia tanto la nouvelle cuisine inventata da Paul Bocuse, una realtà che ti fa comprendere il rispetto per la materia prima.” Un confronto con una realtà diversa che ha arricchito il Francesco uomo e il Francesco professionista: “Dico sempre che la cucina è stata inventata, non c’è niente da inventare, ma è molto importante creare un format culinario, una idea di cucina: nella mia cucina la tradizione mediterranea si unisce alla cucina fusion sfruttando le mie abilità di sushi man, una fusione di sapori tradizionalmente diversi che mi rispecchia, nella quale è possibile abbinare quel sapore di mare a una parte di dolcezza e a una parte di acidità.” Francesco ricorda che ci troviamo in un territorio, la Sicilia, che fornisce tanta materia prima di qualità, “Però a volte capita di non potere mettere in pratica la tua cucina perché manca l’abitudine di assaggiare questo sapore nuovo, che poi sostanzialmente è un’aggiunta a qualcosa già esistente.”
Francesco ha abbracciato questa filosofia con convinzione, tuttavia è arrivato quasi per caso nel mondo della ristorazione iscrivendosi alla scuola alberghiera di Marsala per “indecisione”: “Poche persone sanno fin da giovani quello che vogliono fare, io non ero uno di quelli e quasi per caso mi sono iscritto all’alberghiero.” Al terzo anno di studi Francesco sceglie di abbracciare totalmente la cucina: “La cucina è un modo per esprimerci, per esprimerci con un piatto, e in quel momento della mia vita ho capito cosa volevo fare veramente”. Con il sostegno della famiglia Francesco va avanti per la sua strada: “Mio padre era un medico ma non mi diceva di divenire a mia volta medico, piuttosto mi esortava a diventare uno chef e toccare un altissimo livello in quell’ambito.” Finite le scuole Francesco si cimenta con la cucina nel territorio marsalese, le prime esperienze che lo aiutano a prendere contatto con la realtà concreta: “Abbassi la testa e fai il tuo percorso per arrivare in cima, io in cima non ci sono ancora, ma nel nostro lavoro c’è sempre da imparare anche dalla posizione di Executive chef”. “Avere raggiunto una qualifica del genere alla mia età mi gratifica, non perché mi ritenga più intelligente di altri, ma perché ho avuto la voglia di fare dei sacrifici per arrivare dove sono: il sacrifico è la base di tutti i sogni che una persona possa avere, che sia la cucina, il teatro o la medicina. In tutti i lavori dove c’è sacrificio c’è un successo. Nel mio percorso ho fatto anche il pescivendolo e durante la pandemia mi sono ritrovato a fare le pulizie pur di lavorare.”
“Ho lavorato al Pavarotti di Milano, mentre nell’estate del 2020 sono stato in Corsica, a Calvi dove si nascose Napoleone Bonaparte. Negli anni all’estero ho conosciuto dei maestri di cucina come Gaetano Riccio, Executive chef. Gaetano parla sette lingue e mi ha trasmesso tantissimo sul mondo culinario della carne, poi a Ponte di Legno ho conosciuto Riccardo Augustoni, una persona carismatica che ama tanto il suo lavoro che mi ha insegnato l’amore per il prossimo. Da lui ho imparato molto sul discorso consultant e da allora faccio consulenze per aiutare la gente in difficoltà dopo qualche mala gestione. Il lavoro del consultant è quello di trovare la chiave giusta per un locale in crisi, ed è soddisfacente ricevere i ringraziamenti delle persone”. Adesso Francesco lavora a Mazara del Vallo al ristorante Altavilla della famiglia Giacalone: “Per amore ho deciso di rimanere a Mazara del Vallo, dove abita la mia ragazza, e ho trovato al ristorante Altavilla quello che trovi in una famiglia. Oggi il mio lavoro lo faccio pensando giornalmente alla mia ragazza, perché è mettendo l’amore nei miei piatti che posso dare il meglio, e lei mi aiuta tantissimo perché mi fa scoprire delle sfaccettature che non avevo mai esternato. Oggi lavoro al fianco di un grandissimo collega, Franco Lombardo, storico chef di Mazara del Vallo, maestro della tradizione”. Ed è proprio in questo momento che esce fuori un lato sorprendente dello chef “underground” amante della cucina fusion: secondo Francesco infatti tutto parte dalla tradizione, ed è la tradizione ciò che serve per andare avanti nel mondo culinario: “La trattoria per me è il posto migliore dove andare a mangiare oppure, ancora meglio, la cucina dei nonni”. Ed è quella ricerca della tradizione che lo spingeva a cercare in Danimarca l’autentica cucina locale, fatta di sapori e profumi speziati, perché Francesco cerca nella tradizione forme e spunti nuovi. Tuttavia Francesco continua a porsi una domanda esistenziale: “A oggi io mi chiedo perché il cliente scelga di venire a mangiare da me, è una domanda che mi pongo ogni giorno, perché la scelta del cliente può essere considerata una matrioska che nasconde al suo interno tante ragioni. Per me dare da mangiare alle persone è la cosa più bella che possa esistere al mondo. Faccio questo lavoro perché mi piace soddisfare il commensale, a prescindere dalla cucina, dal salato o dal piccante, l’importante è che sia fatta con amore.”