Occorre differenziare. Lo dobbiamo alle future generazioni, ai nostri figli, ai nostri nipoti…

Si è passato dai tempi della nonna, con il vuoto a rendere delle bottiglie di gazzosa, all’indiscriminato usa e getta del periodo del pieno consumismo. Oggi la gestione dei rifiuti deve partire da un cambio di abitudini che deve mettere insieme le diverse generazioni, con la consapevolezza che quello che si è fatto sino ad oggi non è più sostenibile da un punto di vista sanitario, ecologico, sociale e soprattutto etico.
Una delle più importanti leggi della fisica, la legge della conservazione della massa, ci dice che “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. Vale così anche per i rifiuti. Con la sola differenza che quando differenziamo correttamente, la trasformazione della materia avviene in modo controllato. Trasformazione che invece avviene in modo incontrollato quando decidiamo di gettare i rifiuti per strada, in spiaggia o peggio ancora tra le discariche abusive.
Oltre ai costi che le varie amministrazioni devono sostenere per ripulire le discariche abusive.

Oltre ai costi che le varie amministrazioni devono sostenere per ripulire le discariche abusive, costi che poi si ripercuotono di conseguenza sui cittadini, si deve tenere presente anche l’impatto che i rifiuti hanno sull’ambiante circostante. Alcuni esempi sulla biodegradabilità dei materiali rendono l’idea di quanto pericoloso può essere nel lungo periodo continuare a gettare i rifiuti in maniera incontrollata: una bottiglia di plastica buttata in un terreno ci rimarrà per 1000 anni; una sigaretta con filtro buttata in spiaggia ci rimarrà 2 anni; i pannolini dei bambini solo 450 anni.

Inoltre una recente ricerca scientifica, pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology, rivela che ben 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti da diverse nazioni inclusa l’Italia, contenevano frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri: microplastiche costituite da Polietilene, Polipropilene e Polietilene Tereftalato (PET), ovvero le tipologie di plastica più comunemente utilizzate per produrre imballaggi usa e getta. (Fonte sito web Greenpeace e National Geographic).

Quello che invece viene indiscriminatamente bruciato in aperta campagna, in particolari condizioni può generare composti altamente pericolosi per la salute. Questi esempi devono farci riflettere. Che ci piaccia o no, i rifiuti stanno entrando nella catena alimentare. Tutto quello che gettiamo al di fuori del normale ciclo dei rifiuti, rischiamo di ritrovarcelo in altre forme sulle nostre tavole. Tra il nostro cibo.

Non possiamo più permetterci il lusso di creare discariche incontrollate che volontariamente o accidentalmente prendono fuoco. Non possiamo più permetterci il lusso di cullarci su quello che non va o che non si può fare, invece di concentrarci su come ogni individuo può contribuire a migliorare un sistema alla conta dei fatti ha dimostrato di poter essere efficace. Sicuramente con le migliorie e gli aggiustamenti che ogni piano richiede man mano che si incontrano delle criticità.

Ed è da qui che si deve ripartire. Dalla consapevolezza che l’inquinamento, nelle sue varie forme, sta alterando lo stato di salute del pianeta e dei sui abitanti. L’inquinamento ambientale, non è un problema che riguarda alcuni. Riguarda tutti. Nessuno escluso.

Ogni cittadino deve diventare parte attiva di un sistema che punta al riciclo dei rifiuti, visti più come risorsa che come un problema. Città come Marsala, hanno da tempo intrapreso un percorso virtuoso che punta ad una diminuzione dell’indifferenziato. Non solo perché ce lo chiede l’Europa (frase spesso utilizzata). Non solo perché ce lo chiede l’Italia. Non solo perché le discariche in Sicilia sono colme e spesso chiuse per emergenza. Ma soprattutto perché, da un punto di vista etico e morale lo dobbiamo alle generazioni future. Ai nostri figli. Ai nostri nipoti.

V. Sammartano

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