Dove vanno a finire le storie?
A nessuno è dato saperlo, ma una cosa è certa: nel mondo dei ricordi, per quelle più belle, ci sarà sempre un posto. E quella di Marco Fina un posto c’è l’ha già da tempo.
Se lo è guadagnato, Marco il “trascinatore”, compassando spazi e geometrie. Se lo è guadagnato a suon di goal importanti. A suon di goal decisivi. A suon di goal.
Sin dal primo, quello del vantaggio a Rossano, che cinque anni fa esaltò il ritorno del Marsala in serie D, all’ultimo, realizzato contro il Serradifalco, alla fine della straordinaria cavalcata degli azzurri verso una nuova promozione. Alcuni mesi addietro. Apertura e chiusura, come nelle opere migliori.
Cinque anni stupendi, così diversi tra loro. Cinque capitoli entusiasmanti di un romanzo già lungo quasi 104 anni. E quella fascia di capitano, che non ne voleva sapere di srotolarsi dal suo braccio.
Girava, rigirava, ma poi finiva sempre per avvinghiarsi a lui.
Quante pagine e quante traiettorie – quelle magiche delle sue punizioni, da quell’ineffabile mattonella – e quei calci di rigore – secchi, che bruciavano la scia dell’erba.
La sua esaltante zona Cesarini che ci esaltava tutti: ti ricordi, Marco, quelle splendide “foglie morte” che, sul filo del cronometro, beffarono Adrano ed Hinterreggio?
E tutti lì a gioire, mentre tu levavi le mani al cielo per ringraziare chi ti amerà per sempre.
Belle imprese.
Adesso Marco Fina sfila la propria bandiera dal pennone più alto, la ripiega come un fazzoletto e la ripone nel suo cuore. Che è e resterà sempre azzurro.
Sfila la maglia dalla sua pelle, ormai impregnata del colore più bello del mondo.
Dall’alto della propria onestà intellettuale Marco, che avrebbe continuato a giocare nel Marsala fino all’ultima stilla di fiato, depone le armi. Continuerà sì a correre dietro a un pallone – non potrebbe farne a meno – ma l’anima che lo sospingerà avanti sarà alimentata dalla certezza di aver legato il proprio nome a quello della sua squadra preferita: quella della sua città.
UMBERTO LI GIOI