La Sicilia, nell’anno in cui Expo mostra il grado di civilizzazione e di modernità di altri Paesi, si intesta un primato: prima per lavoro in nero nelle campagne.
Il caporalato c’è, miete vittime.
Di caldo si muore ma anche e soprattutto di indifferenza.
Un popolo invisibile, in buona parte proveniente dal nord Africa e dalla Romania.
Storie di uomini, storie tristi, squallide. Perché se c’è un uomo che per arricchirsi priva un’altro uomo della propria dignità allora abbiamo perso, sconfitti nelle intelligenze.
Tra questi campi spesso si incontrano donne che raccolgono pomodori, ragazzi sui 13-15 che raccolgono olive.
Vengono prelevati dal caporale che li fa montare su un furgoncino che potrebbe portare 6 persone, ne caricano fino a 10.
Costretti a lavorare per 16 ore al giorno, un panino e una bottiglia d’acqua il cui costo viene detratto insieme a quello del trasporto dalla paga giornaliera.
La maggior parte di loro lavora “in nero”, altri , un numero pari a due massimo tre, hanno regolare busta paga ma con salario percepito nettamente inferiore. Perché lui, il VIDDRANO, deve ingrassare le sue tasche. E non gli basta spremere l’uva o le olive per avere un ricavo, stritola uomini, li fa stancare al limite della disperazione sotto ogni elemento atmosferico, senza nemmeno le regolari condizioni igieniche. Non indossano guanti, ne’ mascherine ed altro materiale antinfortunistico. Eppure sulle nostre tavole arriva il loro raccolto nel silenzio angosciante di una vita che passa lontano dagli occhi di chi ” sta bene”
Ne ho avvicinato uno di loro, che chiameremo Mario per ovvie ragioni. Viene dall’Africa del nord mi racconta che lavora dalle 6 del mattino fino a che fa buio. Viene lasciato insieme ad altri in terreni fuori zona. Ha con se un panino e una bottiglia d’acqua che non gli basta affatto. La pausa e’ prevista solo per il pranzo verso mezzogiorno, pochi minuti. Viene pagato a cottimo, 3,5€ per cassone di raccolto completato, quindi non le cassettine che tutti noi conosciamo!
Mi racconta che non c’è spazio per pensare se e’ giusto o meno perché non ha altre alternative. Eppure lui, Mario, parla un inglese perfetto. E’ giovane con una vita spezzata.
Gli chiedo se si è arreso al sistema. Mi risponde: <<No, si arrendono i pesci quando vengono pescati. Ma non posso cambiare io un sistema che ho trovato e che è vostro, cosa mangio altrimenti?>>
Mi dice, affossando gli occhi nei miei << l’uomo schiaccia l’uomo, questo deve cambiare.>>
La tristezza apre un varco ad un pensiero.
Possibile che neppure le nuove, e importanti, misure varate nel settembre del 2011 (introduzione del reato di caporalato) e nel luglio del 2012 (concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori), siano riuscite ad incidere significativamente sulla grave situazione delle campagne?
Eppure qualcosa si muove da parte del Ministero del lavoro.
Vista la difficoltà, infatti, a perlustrare i vasti terreni agricoli non si esclude l’utilizzo di elicotteri e di droni affinché i braccianti possano essere individuati più facilmente.
La storia non cambia, si ripete. Cambia nome.
Di lavoro si muore?
Si, se questo e’ al limite delle forze fisiche e per 16 ore al giorno.
Mario, torna al suo lavoro. Io a scrivere questo pezzo.
” L’uomo schiaccia l’uomo”
Un monito? No, una frase da cui sviluppare un tema di vita.
E tutte le volte in cui sulla mia tavola arriverà un vino rosso penserò ai tanti Mario dimenticati dal mondo e dal loro Dio, perché di indifferenza si muore, anche di quella divina.